Alberto Deambrogio intervista Leonardo Boff
25/08/2021 di Alberto Deambrogio
Leonardo Boff, nato a Concórdia (Santa Catarina, Brasile) nel 1938, è tra i padri fondatori della Teologia della Liberazione ed è esponente di punta dell’ecoteologia. Ha occupato per 22 anni la cattedra di teologia sistematica ed ecumenica all’Istituto teologico francescano di Petrópolis, in Brasile. Ha in seguito ottenuto il dottorato in Filosofia presso l’Università dello Stato di Rio de Janeiro, dove ha insegnato Etica, Filosofia della Religione ed Ecologia Filosofica. Condannato nel 1985 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per le tesi esposte nel suo libro Chiesa, carisma e potere, ha lasciato nel 1992 l’ordine francescano (in cui era entrato nel 1959), proseguendo la sua attività come teologo laico. Ha vinto il Premio Nobel alternativo della Pace del 2001 e ha ricevuto da diverse università la laurea honoris causa anche quella di politica dall’ Università di Torino dalle mani di Norberto Bobbio. Ha scritto circa cento libri di teologia, filosofia, etica, spiritualità ed ecologia. Egli ha voluto rispondere alle domande che seguono: gli siamo infinitamente grati.
Alberto Deambrogio: In Italia leggiamo attoniti, ogni giorno, i dati relativi ai contagi e alle morti per Coronavirus in Brasile. In realtà quei numeri sono non solo impressionanti, ma inaccettabili perché sappiamo che dietro di essi c’è una precisa scelta politica da parte del Presidente del paese. Vuoi provare a restituirci una immagine sintetica della crisi complessiva che attraversa la società brasiliana, della sua fascistizzazione voluta e costruita da Jair Bolsonaro?
Leonardo Boff: L’attuale presidente Jair Bolsonaro, i cui i nonni sono italiani del Nord, è un militare che è stato messo in pensione perché considerato psichicamente disturbato. Come parlamentare per tre volte non ha mai fatto niente. È stato eletto presidente mediante una campagna massiva di fake news e diffamazioni. Era direttamente un discorso di odio e di chiara difesa della dittatura militare contro la democrazia. Gli strati ricchi della nostra società non hanno mai hanno accettato come presidente uno che veniva dal basso, dai gruppi popolari come Lula. Loro sono stati e ancora sono i grandi alleati di Bolsonaro. Per evitare il Partito dei Lavoratori (PT) di Lula e il suo candidato, qualcuno doveva diventare presidente: Bolsonaro è di estrema destra e ha detto che non aveva nessun progetto politico, se non quello di smontare tutto quello che negli ultimi 50 anni si è fatto in termini di diritti sociali, di apertura alla popolazione povera e nera, all’università e alle altre conquiste del popolo organizzato. Egli direttamente predicava una politica contro i popoli indigeni, gli omosessuali e contro la questione di genere. Quando è arrivato il Covid-19 lo considerò come una semplice raffreddore. Si è opposto alla scienza e a tutti i vaccini. Ha propagandato la cura del virus con la clorochina, scientificamente inefficace. Ha fatto apertamente campagna contro il distanziamento personale, l’uso della mascherina e ha favorito gli assembramenti di persone. La sua opzione fondamentale era per la contaminazione di massa, per ottenere l’effetto gregge contro il virus. Questa politica è costata la morte di migliaia di persone che con un altro approccio sarebbero ancora vive. A Manaus in Amazzonia si è sperimentata sul campo questa politica letale: è stata una vera strage con centinaia di morti. Bolsonaro non ha mai mostrato empatia con le vittime e mai ha visitato un ospedale. Ha nominato un militare come ministro della salute, una persona che non capiva niente di medicina e del virus. La conseguenza è che adesso abbiamo circa 560.000 morti e 20 milioni di infettati. Una commissione parlamentare è stata costituita per denunciare le omissione e altri crimini contro la salute di tutto un popolo. È molto probabile che Bolsonaro sia condannato qui in Brasile e sia denunciato anche alla Corte Penale Internazionale per i Crimini contro l’umanità dell’Aia in Olanda.
A.D.: Nelle scorse settimane enormi manifestazioni popolari hanno scosso il paese. Ancora una volta i movimenti brasiliani hanno dimostrato la loro vitalità, la loro autonomia e capacità organizzativa. Puoi dirci come essi hanno affrontato questo difficile periodo di pandemia? Hanno dovuto modificare le loro modalità di azione ed espressione? Esiste un collegamento effettivo tra movimenti di ispirazione diversa (lavoro, ambiente, indigenismo, LGBTQ+, contadini) in grado di proporre convergenze di lotta comuni?
L.B.: Il guaio nostro è che abbiamo un Parlamento estremamente debole e di destra con istituzioni statali contaminate dalla corruzione e insensibili al disastro collettivo. Il presidente Bolsonaro ha optato per l’economia e non per la vita e la salute del popolo. Ha promosso il lavoro nelle grandi ditte che non rispettano le misure igieniche di sicurezza, lasciando correre la vita come se tutto fosse normale. Le manifestazioni non sono state forti a sufficienza per creare una vera opposizione al governo, specialmente rispetto al pericolo di contagio del virus. Si è creato una specie di trauma nazionale che impedisce le manifestazioni: tutti ostaggi della paura, specialmente per la perdita dei posti di lavoro. Ora ci sono circa 16 milioni di persone senza lavoro. C’è fame e miseria come mai nella nostra storia. C’è un clima di sconforto e di inerzia complessiva al punto di non riuscire a vedere una luce in fondo al tunnel di questa tragedia. Non si alzano voci profetiche nella Chiesa cattolica come al tempo della dittatura militare con vescovi come Helder Camara e il cardinale Arns di San Paolo. Bolsonaro ha militarizzato i posti più importanti del governo: sono più di 6 mila i militari in posti importanti della amministrazione.
A.D.: Tutti noi in Italia speriamo che Lula possa diventare il nuovo Presidente del Brasile. Dopo il lungo, ingiusto, doloroso purgatorio in cui egli ha dovuto sopportare pazientemente il peso di una azione illegale (come del resto anche Dilma), ora egli sembra aver riguadagnato pienamente la scena politica e la fiducia di molt@ militant@ e cittadin@. La sua statura è indiscutibile e si riconosce, ancora una volta, nel momento in cui richiama alla responsabilità per i vaccini anti-covid per tutt@ nel mondo. Non posso non ricordare, però, che tu stesso, prima delle olimpiadi brasiliane di 5 anni fa avesti parole molto precise e critiche per il governo allora in carica. Le tue parole, se ricordo bene, dicevano più o meno: attenzione, con le vostre scelte siete ad un passo dal mutare natura! Come vedi il futuro politico del Brasile, il possibile nuovo reincarico a Lula? Quali sono gli insegnamenti del passato che non dovrebbero essere dimenticati da un eventuale nuovo governo che liberi da Bolsonaro?
L.B.: Lula ha sopportato pazientemente più di 500 giorni di prigione ingiusta. Io sono stato il primo a visitarlo nel carcere e ho potuto avvertire la sua volontà di continuare nella sua missione per liberare i poveri dalla dominazione neocoloniale ancora vigente nel Paese. Questo lo ha maturato e, libero, ha guadagnato il rispetto di tutti, anche dei suoi nemici. Adesso percorre tutto il Paese per suscitare la speranza e creare le condizioni popolari per un governo capace di recuperare tutto quello che è stato sistematicamente distrutto. Secondo le intenzioni di voto Lula è largamente il preferito, lasciando Bolsonaro 30-40 punti indietro. Sicuramente sarà eletto se non ci sarà qualche intervento militare per evitarlo oppure un’azione da parte del sistema mondiale di accumulazione, che vede in Lula una alternativa al dominio mondiale del capitalismo. Lui ha inserito nel suo discorso quello che non era molto presente nel suo governo, la questione ecologica, come tema strategico per l’umanità e la funzione importante del Brasile in ragione delle risorse naturali abbondantissime, segnatamente l’acqua potabile e la biodiversità nella parte amazzonica.
A.D.: Edgar Morin ha detto che occorre “porre fine a quell’umanesimo tracotante che continuava a credere che noi fossimo il soggetto del mondo e che, in fin dei conti, il mondo fosse stato creato per noi”. Egli ha poi messo in luce come serva un’idea nuova di sapere, di scienza, così come di educazione critica. Tu che nel tuo cammino spirituale hai messo a punto un originale e prezioso connubio con la scienza, quella della terra e quella cosmologica in particolare, che idea ti sei fatto del suo ruolo nella nostra società? Quali sono le possibilità e i pericoli che essa ci prospetta?
L.B.: Io non mi sento né pessimista né ottimista, bensì un realista critico. Vedo chiaramente che dobbiamo cambiare il paradigma di civilizzazione se vogliamo ancora vivere in questo pianeta Terra. Per me questo è stato molto evidenziato da Papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti. Secondo l’enciclica, bisogna attuare un cambiamento radicale della società umana: passare dall’essere umano come dominus (padrone e signore) della Terra senza sentirsi parte della natura al frater (fratello/sorella) insieme con tutti gli esseri umani e con tutte le altre creature, sia nel senso mistico di San Francesco, sia nel senso moderno che ha verificato che tutti gli esseri viventi hanno la stesa base biologica, dalla cellula originaria, di 3,8 milioni di anni fa, passando per i dinosauri e arrivando a noi umani. Formiamo la grande comunità della vita, nella stessa Casa Comune. Urgentemente dobbiamo attuare il cambiamento da una cultura di accumulazioni di beni materiali per il consumo senza ragioni e di ricchezza per un piccolo gruppo, a una cultura di beni umanospirituali fondati sulla solidarietà, la collaborazione, la cura degli uni verso gli altri e della natura; una cultura la cui centralità è la vita e l’amore sociale. Senza questa conversione paradigmatica vale la parola del Papa nella Fratelli tutti: ci salviamo tutti o nessuno si salva. Io dubito fortemente che il sistema capitalista e neoliberista abbia la sufficiente volontà politica e la saggezza per fare questo passo. Sospetto che andiamo in direzione di una grande tragedia ecologico-sociale che può mettere a rischio la sopravvivenza della vita umana e di altre forme di vita. Però, come credente, spero che sia vero quello che si dice nel Libro della Saggezza: “Dio è l’appassionato amante della vita” (11,26). Spero che non lascerà finire l’umanità in una forma così miserabile. Tutto dipende dalla nostra relazione con la Madre Terra e con la natura: se è amicale, rispettosa dei sui ritmi o se è di devastazione. Siamo dentro la sesta distruzione di vite nella nuova era dell’antropocene. Cambiamo il modo di vivere nella Casa Comune o la Terra può non volere più la nostra specie umana così distruttiva nei confronti di tutte le altre forme di vita.
A.D.: La Teologia della Liberazione ha continuato ad essere momento di ispirazione per moltissimi uomini e donne in America latina e nel mondo anche in anni di estrema difficoltà per la sua pratica e sviluppo effettivi. Ora che le condizioni generali sembrano essere più favorevoli, puoi dirci verso quali obiettivi e verso quali nuove elaborazioni la T.d.L. vuole volgersi? Insomma: quali sono i semi più promettenti di una teologia per troppo tempo marginalizzata e invece così feconda e capace di offrire frutti?
L.B.: Non dobbiamo dimenticare che siamo stati per 34 anni sotto la direzione ecclesiale di due Papi conservatori: Giovani Paolo II e Benedetto XVI. Questi mai hanno capito l’intuizione fondamentale di questo tipo di teologia che era ed è strettamente evangelica: opzione per i poveri, contro la povertà, per la giustizia sociale e la loro liberazione. I due erano ostaggi dell’ideologia dominante dell’anticomunismo, dominante in Occidente durante il periodo della guerra fredda. Oggi con la crescita della povertà mondiale, specialmente adesso sotto il Covid-19, questo tipo di teologia assume una attualità indubitabile. Chiede a tutti di avere compassione verso i sofferenti di questo mondo, gli affamati e disperati per la perdita di ciò che amano. Fino a che esisterà un povero, vittima dell’oppressione, che grida, sempre ci sarà qualcuno, che nello spirito di Gesù ascolterà questo grido; anche quello della Terra. E s’impegnerà per la sua liberazione. Riflettendo su questa pratica si svilupperà una teologia della liberazione. Oggi la sfida più urgente di questa teologia è ascoltare simultaneamente il grido dei poveri e il grido della Terra. Entrambi sono crocifissi, bisogna farli scendere dalla croce e farli vivere.
A.D.: In ultimo: tu, fin dall’inizio del suo pontificato, hai avuto parole positive, promettenti e incoraggianti per Papa Francesco. Che giudizio ti senti di dare ora, a questo punto, del sentiero stretto di Bergoglio? Te lo chiedo soprattutto da un punto di vista sociale e pastorale…
L.B.: Per me Bergoglio, fatto vescovo di Roma e di conseguenza Papa della Chiesa universale con il nome di Francesco, è un dono di Dio anzi tutto per l’umanità e anche per la Chiesa. Il nome Francesco è tutto un programma: ascoltare i poveri umani e la Terra crocifissa, denunciare i responsabili della situazione ecologicamente drammatica del mondo, un sistema che uccide vita della natura e vite umane, un sistema assassino. Questo tipo di mondo deve finire. Non il mondo ma questo tipo di mondo. Credo che il Covid-19 ci abbia dato un segno e anche una lezione. Non possiamo continuare nella solita, vecchia normalità perché essa è troppo crudele e senza pietà. Bisogna fare una conversione radicale ecologica e sociale se vogliamo avere un futuro. Altrimenti la Terra ci manderà tutta una gamma di nuovi virus, forse ancora più letali del coronavirus stesso. Papa Francesco nonostante questa tragica situazione, suscita speranza nella capacità di trasformazione degli esseri umani e in particolare nel Dio vivente, che attraverso l’Uomo di Nazareth ha assunto la nostra umanità, che attraverso la sua risurrezione e l’assunzione di Maria con tutta la sua umanità stanno già nel seno della Trinità. Qualcosa di nostro è già eternizzato. Per me Papa Francesco è il leader più importante dell’umanità e del cristianesimo, specialmente a fronte della mancanza di voci profetiche nella società e nella politica mondiale.